In questo periodo sto ricominciando a fare una delle cose che più mi fa stare bene e che mi ha fatto soffrire nel tempo: scrivere.
Scrivere per me è sempre stata una doppia sfida: con me stessa, come vuole la migliore tradizione letteraria, ma soprattutto con gli altri, con la loro diffidenza, con l’atteggiamento sprezzante che ho continuamente dovuto affrontare. Negli anni mi sono trovata a cercare una legittimazione e una conferma solo nel riscontro delle altre persone, da quelle più vicine a quelle mai incontrate, fino a cercare me stessa nelle cose che gli altri si aspettavano da me, e che non erano mai quelle in cui io mi identificavo. Ho sfogato tutta la frustrazione per non essere mai quello che gli altri avrebbero voluto, nonostante i miei sforzi, nello scrivere –– anzi, nel non scrivere, nel boicottarmi tanto da non riuscire, anzi, soprattutto, non volerlo più fare.
E più non volevo farlo più mi ostinavo a provarci, in un loop senza fine, un uroboro di smarrimento, ansia e sindrome dell’impostore: perché le lodi che ricevevo ogni volta che consegnavo un pezzo non si trasformavano in un entrare a far parte della cerchia degli eletti, coloro a cui i contributi vengono chiesti senza passare dall’elemosina dei pitch, i “solo per sapere se hai ricevuto l’email con la proposta”, i silenzi? Perché mi ostinavo a patire e penare per qualcosa che mi respingeva ogni volta che mi facevo un passo in avanti? Perché perseverare con l’accanimento terapeutico davanti all’evidenza della linea piatta?
Ci sono ricaduta tutte le volte che ho smesso. Finché ho smesso di smettere.
La scrittura è la prima delle cose con cui ho fatto pace quando ho finito di rincorrere lo sturm und drang per apprezzare la quiete e ho demolito i muri che mi ero costruita intorno. Non me ne sono neanche accorta, non ho dovuto mettermici d’impegno, è successo da sé. Tutt’a un tratto le parole hanno smesso di essere un nemico mortale.
C’è un libro che racconta in maniera mirabile quanto la scrittura possa essere crudele e dolce per chi ha deciso (ma è poi una scelta?) di farne la sua esistenza. Si intitola The Writing Life e l’ha scritto Annie Dillard nel 1987. Stamattina ho dato l’ok definitivo alla sua traduzione — la mia prima importante. Scandagliarlo per lavorarci mi ha permesso di metabolizzare ogni passaggio, e di trarne un’infinità di lezioni di scrittura ma soprattutto di vita.
E ora che riesco persino a mettermi a letto, rilassare i muscoli e far partire le dita sulla tastiera del mio telefono, posso quasi dire che scrivere mi dà gioia.