Ho scritto il titolo di questa newsletter dopo aver visto il sole tramontare sul lago mentre passeggiavo sulla sponda. È passata quasi una settimana, e da quel giorno concentrarsi è diventato impossibile.
Trascorro le mie giornate in una casa affollata di persone in cerca di un posto che possa diventare mio, senza successo. “A woman must have money and a room of her own if she is to write fiction"
– e, cara Virginia, una figlia unica come me non può che essere d’accordo, anche senza considerare la questione economica, né la necessita che sia finzione quella da scrivere.
Così, ogni tanto, salgo le scale e guardo fuori dalla finestra, che da un’altura dà sulla sponda opposta del lago. Anche se non sono sulla riva, la luce che si specchia sull’acqua per scomparire dietro il monte Rosa mi apre la mente e il cuore. Mi affaccio al vetro, esco sul terrazzino, e per qualche minuto quel silenzio iridato diventa mio. Mi ostino a fotografarlo, ma i colori restituiti non sono mai quelli reali, come è giusto che sia.
Tutte le volte che guardo un lago mi risuona in mente una canzone degli Whitney. È cominciato guardando il lago Michigan da Chicago, la loro città di origine, immaginandomi Julien Ehrlich e Max Kakacek fare la stessa cosa. È successo davanti al lago Superiore – anche se lì poi il paesaggio si è subito trasformato nel ritmo pulsante delle note di Bon Iver, ma questa è un’altra storia –, e da un po’ di tempo succede qui, in attesa della prima volta che questa magia avvenga alle finestre di una casa finalmente mia. Nostra.
Questa è
3G - Una vita lenta e obsoleta
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