#8 - I Just Have No Desire to Be Productive
Una cosa più supponente della sindrome dell'impostore.
C’è una splendida intervista a Fran Lebowitz sulla Paris Review (qui, ma ha il paywall) in cui racconta la fatica di scrivere, e di farlo di lavoro: più supponente della sindrome dell’impostore c’è solo il pensare di rispecchiarsi nelle parole di uno dei più grandi talenti della scrittura mai esistiti: eccomi qui.
Aspetto (e spero) sempre che siano i lavori a trovare me. Odio farmi venire un’idea, perché nel tempo in cui rimugino su a chi proporla e in che lingua scrivere perdo ogni entusiasmo a realizzarla (e tante volte, anche il tempismo); odio i pitch perché mi danno sempre il tempo di pensare e ripensare a quello che sto proponendo e convincermi che sia stupido e di nessun interesse; odio presentarmi perché, mentre scrivo l’ennesima bio, nella mia testa l’unica domanda che riecheggia è “ma dove vuoi andare? Ma cosa credi di fare? Chi mai potrà darti retta?”; odio i follow up, perché mi sembra di dover pietire del tempo a persone che mi sembra chiaro considerino dedicarne a me uno spreco; odio lavorare quando mi commissionano i pezzi, perché mi sembra sempre di puntare troppo in alto rispetto a quanto posso veramente arrivare.
Ormai vado persino oltre la sindrome dell’impostore: quando ci provo, e qualcuno accetta la proposta che ho fatto, non mi viene neanche più l’ansia da prestazione – inizio a lavorare direttamente con la consapevolezza che il risultato non sarà mai quello sperato sperato da me e atteso dal mio committente, e amen. Un editor deluso, al massimo, non ti farà lavorare più, non c’è nessun dramma – e in questo modo lavoro meglio, senza pesi, senza angoscia. Testo consegnato, tutti felici.
E poi riparte il loop.
"My editor —–who, whenever I introduce him as my editor, always says, 'easiest job in town'—– he says that the paralysis I have about writing is caused by an excessive reverence for the written word, and I think that’s probably true.
"
Fran Lebowitz non scrive una parola da decenni, e per bypassare questo problema si è messa a fare la ospite in TV e a parlare, a fare la public speaker di professione.
Quando scrivere era diventato un tormento troppo grande da sopportare, anche io mi sono messa a parlare – in radio –, pur di non farlo. Parlare in diretta non ti lascia spazio: non c’è modo di pensare di star dicendo cazzate, di non essere preparata, di non avere la legittimazione di essere lì; è come un brainstorming a voce alta: vengono fuori le cose migliori perché non c’è il tempo di pensare troppo, in tutti i sensi (e l’overthinking è la mia medaglia d’oro olimpica). Non mi preparo neanche più, non scrivo le domande delle interviste, non studio scalette e playlist: lascio tutto alla scintilla del momento, allo schiocco di dita dell’istante, che fanno la loro magia senza bisogno di trucchi o imbonimenti.
Non sono Fran Lebowitz, non penserei nemmeno dallo spazio remoto di potermi accostare in qualche modo a lei – va bene la supponenza, ma c’è comunque una misura da non superare. Però ogni volta che una figura aspirazionale racconta di un timore, una debolezza, un limite che ho anche io e non riesco superare, invece di sentirmi giustificata e di crogiolarmi nel fallimento, trovo forza per oltrepassare l’ostacolo – come ora, che pur di non mettermi a pensare a un nuovo lavoro da proporre, sto scrivendo questa newsletter.
Questa è
3G - Una vita lenta e obsoleta
, la newsletter di Guia Cortassa. Se ti piace, con i bottoni qui sotto puoi commentare e condividere. Se invece vuoi dirmi qualcosa, rispondi all’email. Alla prossima!