Ho saltato una newsletter. Ho saltato una consegna. È saltata la connessione.
if it doesn’t come bursting out of you in spite of everything, don’t do it.
unless it comes unasked out of your heart and your mind and your mouth and your gut, don’t do it.
– Charles Bukowski, So You Want to Be a Writer
Un po’ di tempo fa, nel tentativo di aumentare la mia produttività , ho iniziato a usare un wordprocessor online, il terzo di una lunga serie di pagine elettroniche da fissare sperando che parole e pensieri finalmente inizino a fluire. Nella pagina delle impostazioni, in cui scegliere lo sondo e la formattazione preferiti per creare l’ambiente di lavoro perfetto, il testo di prova è una citazione da Bukowski che i miei occhi, bisognosi di aumentare la grandezza del font dopo ore e ore di permanenza davanti allo schermo, hanno preso come una conferma di ciò che già sapevano un segno del destino.
La scrittura (e la creatività in generale) [per lo meno, la mia] non si forza. Non si allena. Non obbedisce a routine e premeditazioni, non esistono espedienti, non funziona a comando.
Sullo slack della rivista con cui ho iniziato a collaborare qualcuno ha condiviso un vecchio pezzo di McSweeney’s dall’intento comico, HOW TO WRITE 100,000 WORDS PER DAY, EVERY DAY, che dietro la risata triggera in realtà l’ansia di tutti noi.
La scrittura (e la creatività in generale) [per lo meno, la mia] nasce nelle nella mente libera, nell’ispirazione spontanea, nel momento sfuggente. Più ci penso, meno funziona. Più mi arrovello, più la fonte si prosciuga.
Eppure, invece di passeggiare, di ballare, di prendere la bici e correre, mi ostino su pagine e parole – mie, altrui, qualsiasi, ovunque. La pressione e la frustrazione imprigionano le idee in una cella di isolamento, annichilite fino all’annientamento.
In questi giorni ho tentato un esperimento, ispirata da due scrittrici statunitensi. Sarà il focus della prossima Plus, la versione di 3G per abbonati, che arriverà tra poco. Spoiler: non è andata come avrebbe dovuto.
RASSEGNA STAMPA
Esquire | Alla GAMeC di Bergamo c’è una bellissima mostra sulla guerra
Ali Cherri lavora sul concetti di conflitto e identità nazionale. La più grande presentazione delle sue opere ha aperto a Bergamo il giorno dopo la violenza inaudita che ha sconvolto il Medio Oriente e il mondo intero.Pagine | Pilar Quintana
Pilar Quintana, una delle autrici più interessanti della letteratura sudamericana contemporanea, è stata la mia prima ospite internazionale a Pagine. Averla in studio è stato un grande piacere: per i temi di cui abbiamo conversato, per la sua playlist di salsa e per i racconti di tutte le quinceañere che abbiamo scambiato a microfoni spenti.
DAL COMODINO
Sono stata via da casa poco più di 36 ore, ho preso quattro aerei, e per la prima volta nella mia vita ho portato un solo libro con me, convinta che, come sempre, sarebbe stato un compagno silente che mai avrebbe visto la luce fuori dalla mia borsa. Invece no. L’ultima cosa bella sulla faccia della terra di Michael Bible (Adelphi, tradotto in modo impeccabile da Martina Testa) è, proprio come mi aspettavo, un libro perfetto. Michael Bible ha orbitato nella galassia di Giancarlo DiTrapano e Tyrant Books; la sua scrittura è essenziale e per questo affilata come una lama. Porta nel cuore più oscuro dell’Appalachia con un lirismo che – a tratti – sfiora la prosa poetica e che riserva ai momenti più tragici e distruttivi della narrazione. Ho divorato il libro sul primo volo del viaggio, e non ho letto altro fino al ritorno a casa.
DALLO SCHERMO
Non so come, per tutto questo tempo, Shameless non fosse mai entrata nei miei radar. La versione americana della serie è scritta dallo stesso autore di quella britannica, Paul Abbott, che porta sullo schermo molto della sua autobiografia: una famiglia disfunzionale, genitori dipendenti da qualsiasi sostanza e negligenti, una sorella maggiore che deve prendersi cura di un numero enorme di fratelli e sorelle in condizioni socio-economiche al limite.
I Gallagher americani vivono nel Southside di Chicago, sono l’apoteosi del white trash, e di una bellezza rara. Bonus: il pilot si apre con una tavolata di presentazione. Il figlio più piccolo si chiama Liam. Il penultimo indossa una t-shirt degli Oasis. I Gallagher della serie originale vivono a Manchester.
DALLA GALLERY
Sono tornata dopo vent’anni in una città in cui non riesco a stare più poche ore e una notte. Ma per un’ottima ragione.
Alla prossima!