Vorrei raccontare la mia vita usando solo il potere del caso. Quando ho bisogno di ispirazione, apro Atlas Obscura e gli chiedo di portarmi in un luogo casuale del suo archivio. Di solito finisco in qualche landa sperduta degli Stati Uniti che non ho mai visitato, e l’impulso a voler lasciare la sedia e il computer diventa ancora più forte.
Vorrei raccontare la mia vita usando solo la potenza immaginifica del random: un’immagine scelta da un algoritmo all’interno della mia gallery, un libro preso a occhi chiusi dalla mia libreria, un brano a caso dalla mia collezione su Spotify. Riempire il diagramma solo da input esterni e poi vedere quanto racconta di me, e quante me possono esistere al fuori della curatela che faccio per mostrarmi agli altri.
Le mie giornate si stanno ripopolando, sto facendo nuove conoscenze e ritrovando persone rimaste lontane nel tempo, e le parole delle conversazioni sono tutte, come immaginabile, destinate a colmare un’assenza reciproca nelle nostre storie. Quando ho chiesto a un mio intervistato recente “Si legge così tanto in giro di te che la mia prima domanda è: chi sei?”, lui mi ha detto “Non posso rispondere: presentarsi da soli è troppo difficile.” Ha ragione. Vorrei anche io che fosse un’intelligenza digitale a farlo per me. Prendo costantemente appunti e annotazioni di cose che mi accadono e che vorrei raccontare qui, e quando poi arriva il momento di scrivere, mi sembra la vita di qualcun’altra.
Nello stessa pagine in cui ho trovato il diagramma, c’era anche il link a questo articolo di Joshua Rothman uscito sul New Yorker lo scorso ottobre: Researchers have studied how much of our personality is set from childhood, but what you’re like isn’t who you are. Lo sto leggendo poco alla volta. Non so se voglio saperlo.
COSE CHE SUCCEDONO
Parlare con le persone è diventato quasi il mio unico lavoro. Che sia in radio, o che sia per qualche testata, lo scambio di pensieri e parole è ciò che occupa la maggior parte del mio tempo. Una delle mie citazioni preferite viene da “A Desk Job” un articolo che Robert Storr, uno dei pilastri dei miei anni da studentessa di Arte Contemporanea, ha pubblicato su Frieze nel lontano 2006 per raccontare il suo mestiere: Criticism is the unprotected exchange of mental fluids. Credo sia una delle poche cose di quegli anni che sono riuscita a fare veramente mia.
Su Esquire, ho parlato con Michele Turazzi del suo nuovo romanzo Prima della rivolta, uscito per Nottetempo: ci siamo raccontati di come Milano è cambiata e potrebbe cambiare, delle prospettive, e di dove siamo ora.
A Pagine è statə miə ospite Nat Gildi, che ha raccontato il suo Meno Cazzate, pubblicato da Giulio Perrone: abbamo parlato di scrittura autobiografica, di personaggi, di playlist, e di pronomi. Si può ascoltare e vedere sul sito di Radio Raheem.
Nell’ultimo appuntamento di Green Room Raheem, invece, ho avuto il piacere di incontrare Ginevra Nervi, compositrice e producer, che ha raccontato l’A/V show con cui presenterà live il suo nuovo disco The Disorder of Appearances (La tempesta dischi), e con cui ho chiacchierato anche di musica e cinema.
Ora, mano al calendario perché ci sono un po’ di nuovi appuntamenti:
Mercoledì 19 aprile avrò l’onore di presentare Arno Camenisch e il suo nuovo romanzo Anni d’oro, uscito – ça va sans dire – per Keller. Appuntamento alle 19 alla Libreria del Convegno di Milano.
Giovedì 20 aprile, sempre alle 19, nella nuova puntata di Pagine, sarà ospite il caro amico Orso Tosco a raccontare Nanga Parbat (66thand2nd), la montagna nuda che ruba il senno alle persone.
A quei geni sregolati di Aguilar è riuscito il colpaccio: Venerdì 5 maggio salirà sul palco del teatro Arcimboldi di Milano nientemeno che Fran Lebowitz. La seconda parte del suo spettacolo sarà un Q&A col pubblico, quindi, armatevi di biglietto e preparatevi una domanda – a cui farvi rispondere male, of course.
Ci vediamo lì.