Qualche settimana fa sono stata invitata da una collega giornalista d’arte a parlare del mio lavoro ai suoi studenti del DAMS. A un certo punto, è arrivata la temutissima domanda: quando hai capito che volevi scrivere?
La mia risposta è incredibilmente banale: da che ho memoria, l’ho sempre fatto. Imbrattavo blocchi, quaderni e agende con migliaia di parole. Agli albori dell’informatica, chiedevo a mio papà di poter usare il suo computer non per giocare, ma per battere sulla tastiera in un word processor. Ricopiavo pagine e pagine di libri per il gusto di schiacciare i tasti, tenevo una specie di diario, occupavo preziosi byte sul disco fisso con frasi e paragrafi del tutto casuali.
Un altro ricordo molto nitido che ho è quello di un incidente avvenuto sull’autostrada che ci portava a Vercelli (la città di mio nonno). Era appena successo, per continuare ad andare abbiamo dovuto passarci in mezzo, una macchina era in fiamme. Quel giorno, ho deciso che da grande avrei fatto la cronista di nera. Tornata a scuola dopo il weekend (sarò stata in seconda o terza elementare), al posto dei pensierini in classe ho raccontato quell’incidente in un finto articolo – le cui uniche reminiscenze sono che la macchina colpevole dell’urto aveva scartato all’improvviso per evitare un panettone sulla carreggiata, e che i feriti erano stati trasportati all’ospedale Buzzi, entrambi dettagli molto poco verosimili.
Molti anni più tardi, disobbediendo in toto ai consigli della prof di italiano (una delle persone che meno è riuscita a capirmi nella storia), scrivere un articolo di giornale ha salvato il mio esame di maturità. “Non scegliete l’articolo, che non sapete gestirlo, fate l’analisi del testo, non potete sbagliare”. Due fogli protocollo sul valore artistico e sociale della piazza, un longform before it was cool – quando ho fatto la maturità c’erano ancora i modem 56k –, punteggio pieno: 15/15 che lei non mi avrebbe mai dato per principio, non per demerito, sbattuti davanti alla sua faccia dal commissario esterno.
Non mi ricordo di un momento della mia vita in cui non ho pensato a scrivere, e a farlo per i giornali. Ci sono stati momenti in cui altre persone hanno cercato di convincermi che la strada fosse un’altra, e periodi in cui ho dato loro retta. Per fortuna, ho imparato, lottando, che l’unica persona a cui dare ascolto sono io.

COSE CHE SUCCEDONO
Siamo alla fine di un’altra stagione, ma rimane ancora qualche appuntamento prima di continuare a lavorare con il telefono anche quando si dovrebbe staccare la mente chiudere il computer per sempre.
L’ultima puntata di Pagine avrà come ospite Gabriella Dal Lago, e ne sono felicissima. Ho divorato Uto e Gesso, il suo romanzo di debutto, in poco più di una sera, lasciandomi completamente immergere dalla complessità di un rapporto – quello tra fratelli – che io, figlia unica, non ho mai conosciuto. Ora torna con Estate caldissima, il ritratto perfetto di una generazione su cui spesso si sospende il giudizio – la nostra.
RASSEGNA STAMPA
Pezzettini d’autore | Émile Jadoul
È uscita la terza puntata di Pezzettini d’autore, il podcast in cui racconto le storie degli autori dietro i libri e personaggi del catalogo Babalibri. Stavolta tocca ai Papà e ai pinguini di Èmile Jadoul.Domani | Katie Kitamura – I fantasmi vivono ancora nel resort
Per ogni edizione delle Conversazioni a Capri, gli autori invitati offrono un loro testo inedito sul tema del festival. Quest’anno, la parola chiave era journey, viaggio. Il contributo di Katie Kitamura, che ho avuto il piacere di tradurre, è stato ripreso e pubblicato su Domani.
Esquire | Premio Strega 2023: il libro più bello non è in cinquina
Ho lasciato che Vito De Biasi scegliesse un titolo roboante, ma la verità è che escludendo Ferrovie del Messico dalla cinquina finale, il premio Strega ha perso un’occasione.
Buon 4 luglio. Non ballate troppo.