L’orologio a cucù del bagno più grande ha la batterie quasi scariche e al posto di cinguettare, quando scocca l’ora, ora emette un suono del tutto simile alle sirene dei treni merci statunitensi. Lo sento da lontano, proprio come quando passa il treno, e subito si accende la nostalgia per quei giganti lentissimi: mi manca vederli, mi manca dover spegnere il motore per aspettare che il passaggio a livello si rialzi – chissà dopo quanto tempo, mi manca cercare – senza successo – di contarne i vagoni.
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Ho pensato a lungo che la mia vita sarebbe stata scrivere di musica. Poi, a un certo punto, mi sono accorta che non era più così.
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Week of 3/21 in Aries: For you, time is still the same as it always was, but something has changed. When you move in doubt, move the thing itself. Blue and yellow-green music will be playing when you get the call. Hold up your hand so they know it’s you. It’s yours.
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Sono partita dall’arrivo, in ciò che pensavo sarebbe stata la mia vita. Ho vissuto quello di cui tutti avrebbero fatto un vanto come un fallimento. Non sono mai entrata a far parte di un gruppo, di una cricca, di un circolo; sono sempre stata “quella che” in un ambiente di maschi pronti con il righello in mano. Non sono mai stata bulimica di opinioni, né di consumi. Con lo svanire dell’entusiasmo, ho cominciato a sentirmi come una Major Tom fuori dalla navicella: vedevo il mio posto nel mondo allontanarsi sempre di più, con tutti gli altri a bordo, mentre il mio cavo si spezzava. Ho provato a lanciare qualche attrezzo sperando che mi facesse guadagnare forza di propulsione in un tentativo disperato di riagganciare la mia nave. Finchè ho capito che sarebbe stato più utile concentrarsi sulle scorte di ossigeno.
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La mia idea di “scorte di ossigeno” era prendere un aereo intercontinentale verso ovest, noleggiare una macchina e cominciare a macinare strada. Nei miei sogni, partivo con solo una borsa leggera a mano – l’essenziale per un primo assestamento – e seguivo l’insegnamento di Eddie Vedder che mi aveva accompagnato al liceo: non c’è bisogno di bagagli, si raccoglie tutto mentre si va. Ma poi la realtà era molto diversa.
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Every night I used to pray that I’d find my people
And finally I did
On the open road
We had nothing to lose, nothing to gain, nothing we desired anymore
Except to make our lives into a work of art
Live fastDie young
Be wild
And have fun
I believe in the country America used to be
I believe in the person I want to become
I believe in the freedom of the open road
And my motto is the same as ever
"I believe in the kindness of strangers"
And when I'm at war with myselfI ride
I just ride
Who are you?Are you in touch with all of your darkest fantasies?
Have you created a life for yourself where you can experience them?
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Il mio istinto di conservazione è molto forte – una perifrasi per dire che, in me, la codardia ha puntualmente trionfato sul desiderio. Ho sempre sognato di essere una ragazza perduta, ma non ce l’ho mai fatta, così mi sono sempre innamorata dei comportamenti autodistruttivi altrui. L’ultima volta che ho avuto bisogno di un simulacro per la mia malaise ho scoperto il Paradise EP di Lana del Rey e convinto (senza neanche troppo sforzo) il mio fidanzato di allora a partire per la California.
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Sognavo di essere libera mentre viaggiavamo sulla Highway 1 a bordo della nostra Hyundai Sonata bianca. Ogni volta che facevo partire Paradise, a cui Apple Music non aveva sincronizzato “Ride”, e che quindi cominciava con “Americans”, mi immaginavo con degli shorts di jeans strappati e una maglietta sdrucita della Budweiser, abbronzata, con quella noncuranza che sanno avere solo le ragazze americane. Cercavo senza sosta quell’infinito nella perdizione che avevo letto nella Beat Generation, che avevo visto e ascoltato nella canzoni di Lana del Rey, che aveva raccontato Josh Tillman quando aveva deciso di inventarsi Father John Misty. Ma non avevo bikers a cui stringermi sulle curve della Pacific Coast Highway, né furgoni da caricare con tutte le mie cose per cambiare vita. Nessun incontro con sconosciuti durante la strada, nessuna notte sotto il cielo del Big Sur. Arrivati a Los Angeles, in un albergo sufficientemente vicino allo Chateu Marmont perché io potessi farmi scoppiare il cuore ogni volta che ci passavamo davanti, la mia mente era fissa a Laurel Canyon mentre passeggiavamo tra Hollywood Boulevard e Melrose Avenue.
“Cosa c’è in questa città che ti rende così?” mi chiese una mattina, mentre smaniavo chissà per cosa. C’era tutto. E non stavo trovando niente.
I never felt seen.
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With Violet Bent Backwards Over the Grass, I feel like you’re mourning a piece of L.A., sometimes literally, sometimes in feeling and tone. Then, coupled with Chemtrails, it’s like you’re starting to talk about all these new places and slowly planting little flags and creating little emotional homes in other parts of America.1
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Senza che me ne accorgessi, a un certo punto della mia vita, la mia malaise è passata. Ho smesso di struggermi, di cercare. Il nichilismo non mi interessava più. Tutto ciò che proiettavo nei dischi che avevo ascoltato per un decennio era sparito. Il Minnesota ha cominciato a prendere il posto della California; quello che desideravo erano una vecchia Wrangler e una casa con una veranda.
È il 2021, e Lana del Rey ha pubblicato un album midwestern, per sua stessa ammissione. I turchesi hanno preso il posto dei diamanti, l’Oklahoma quello di Los Angeles.
E improvvisamente, per la prima volta, mi sembra di aver fatto tutto giusto.
Jack Antonoff a Lana Del Rey su Interview magazine, qui.
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