La prima cosa che abbiamo comprato e portato nella casa nuova è una piccola scala in legno, tre vecchi gradini che nella loro vita precedente accompagnavano su e giù dal palcoscenico di chissà quale minuscolo teatro di provincia. L’abbiamo trovata nel magazzino dell’usato proprio davanti a casa a Milano, caricata in macchina e trasportata fino alla sua nuova destinazione. L’abbiamo appoggiata sul muro blu dell’ingresso, dove abbiamo immaginato potesse trovare il suo posto. Ho scattato una foto. Tra la polvere, in mezzo al delirio di cavi elettrici ancora scoperti e finestre smontate da verniciare, per la prima volta, quella nella mia mente è stata casa. È successo ieri. Stimavamo di poterci trasferire a metà aprile.
Qualche giorno fa avevo iniziato a scrivere un’altra newsletter, per l’ottantesimo compleanno di Bob Dylan. Volevo raccontare della volta che io e G. siamo andati a Duluth per scoprire le origini del menestrello e siamo entrati in città ascoltando gli Abba, perché G. sosteneva di non averli mai sentiti, e quale occasione migliore di quella?
Volevo raccontare di come, qualche giorno prima, avessi fatto una cosa fino ad allora possibile solo nei miei sogni:
Il 15 settembre del 2018 ho salutato i miei compagni di viaggio ai controlli di sicurezza dell’aeroporto di Chicago e sono andata a sedermi ai tavolini dello Starbucks al ritiro bagagli del Terminal 2. Guardavo le scale mobili fingendo nonchalance e mi sembrava di star facendo una cosa straordinaria: avevo condiviso un viaggio con degli sconosciuti, e ora, da sola, aspettavo una persona in un aeroporto statunitense, per ripartire senza una precisa destinazione.
E di come quella strada ci avesse portato in giro per il lago Superiore.
Volevo raccontare di come in tutto quello che riguarda me e G. ci sia sempre stato di mezzo un lago, fin da quando ci siamo conosciuti.
Leggendo le altre newsletter provo sempre il desiderio di dare un senso di ordine e disciplina alla mia. Sono ammirata dalla costanza degli altri scrittori, da come riescano a rispettare una periodicità autoimposta, da come siano riusciti a trovare temi e modi che ritornano di volta in volta, interessanti e coerenti.
Ogni tanto penso di trasformare questo mio spazio (e tutti i miei spazi digitali) in qualcosa che ricordi meno un diario adolescenziale e più una piattaforma per raccontare progetti e prodotti culturali (moriremo tutti post-strutturalisti), ma poi mi accorgo che la mia vita è fatta di entrambi e separarla è impossibile.
La scorsa volta parlavo di riappropriazioni, e in questa primavera oltre alla scrittura ho ritrovato un’altra parte di me con cui non avevo mai fatto pace: l’arte. Il mondo dell’arte è stato quello che più mi ha fatto soffrire quando mi sono trovata a lottare al suo interno, e ora che non ho più bisogno della sua approvazione ho ricominciato a trarne piacere.
Ci saranno sempre mostre, artisti, libri e dischi di cui vorrei parlare e scrivere, perché penso che possano rendere migliore la giornata di qualcuno. Un giorno troverò il posto più adatto anche per loro – magari è proprio questo, ma ancora non me ne sono accorta. Faccio fatica ad accorgermi del valore del mio lavoro. Una volta mandavo un’email a tutti i miei contatti per ogni cosa importante che succedeva nella mia vita professionale, ora mi domando solo a chi potrebbe mai interessare sapere cosa faccio.
Tra di voi c’è ancora chi sta aspettando una fotografia: le promesse sono tali. Ho tempi pachidermici, ma ci sarà una busta ad attendervi, tra non molto.
Un’ultima cosa: quasi tutti i titoli di queste newsletter sono presi da dischi e canzoni che amo. Li ho raccolti tutti in una playlist su Spotify. “Untitled” è un non-titolo usato almeno una volta da tutti i musicisti che conosco, quindi lascio la palla a voi: qual è la vostra “Untitled” preferita, da aggiungere alla playlist?
Questa è
3G - Una vita lenta e obsoleta
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